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Sono tanti i cristiani che non conoscono la gioia. E anche quando sono in chiesa a lodare Dio, sembrano a un funerale più che a una celebrazione gioiosa. Se invece imparassero a uscire da se stessi e a rendere grazie a Dio, "capirebbero realmente cos'è quella gioia che ci rende liberi".
E proprio la gioia cristiana è stata al centro dell'omelia di Papa Francesco, questa mattina, venerdì 31 maggio, festa della Visitazione, durante la messa concelebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, fra gli altri, con il cardinale Jozef Tomko. Tra i presenti, un gruppo di dipendenti dei Servizi tecnici del Governatorato.
"Le due letture di oggi - ha infatti esordito il Pontefice riferendosi ai brani tratti dal libro del profeta Sofonia (3, 14-18) e dal vangelo di Luca (1, 39-56) - ci parlano di gioia, di allegria: "rallegrati, grida di gioia", dice Sofonia. Gridare di gioia. Forte questo! "Il Signore in mezzo a te"; non temere; "non lasciarti cadere le braccia"! Il Signore è potente; gioirà per te. Anche lui gioirà per noi. Anche lui è gioioso. "Esulterà per te con grida di gioia". Sentite quante cose belle si dicono della gioia!".
Nel racconto evangelico la gioia caratterizza la visita di Maria a Elisabetta. "La Madonna va a fare visita a Elisabetta" ha ricordato il Santo Padre. E presentando l'immagine di Maria come madre che va sempre in fretta - così come aveva fatto domenica scorsa nella parrocchia romana dei Santi Elisabetta e Zaccaria - Papa Francesco si è soffermato su quel "sussulto del bimbo nel grembo di Elisabetta" rivelato da lei stessa a Maria: "Ecco, appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo". "Tutto è gioia. Ma noi cristiani - ha notato il vescovo di Roma - non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria. Credo che tante volte ci piacciano più le lamentele! Cosa è la gioia? La chiave per capire questa gioia è quello che dice il vangelo: "Elisabetta fu colmata di Spirito Santo". Quello che ci dà la gioia è lo Spirito Santo. Anche nella prima preghiera della messa abbiamo chiesto la grazia della docilità allo Spirito Santo, quello che ci dà la gioia".
Il Papa ha parlato poi di un altro aspetto della gioia che ci viene dallo Spirito. "Pensiamo - ha detto - a quel momento in cui la Madonna e san Giuseppe portano Gesù al tempio per compiere la Legge. Il vangelo dice che loro vanno a fare quello che stava scritto nella Legge". Lì sono anche due anziani; ma, ha notato, il Vangelo non dice che essi sono andati lì per compiere la Legge, quanto piuttosto perché spinti dalla "forza dello Spirito Santo. Lo Spirito li porta al tempio". Tanto che, davanti a Gesù, i due "fanno una preghiera di lode: ma questo è il messia, benedetto il Signore! E anche fanno una liturgia spontanea di gioia". È la fedeltà maturata in tanti anni in attesa dello Spirito Santo a far sì che "questo Spirito venga e dia loro la gioia".
"A me - ha poi confidato Papa Francesco - piace pensare: i giovani compiono la Legge; gli anziani hanno la libertà di lasciare che lo Spirito li guidi. E questo è bellissimo! È proprio lo Spirito che ci guida. Lui è l'autore della gioia, il creatore della gioia. E questa gioia nello Spirito ci dà la vera libertà cristiana. Senza gioia noi cristiani non possiamo diventare liberi. Diventiamo schiavi delle nostre tristezze". Quindi il Pontefice ha citato "il grande Paolo VI", ricordando che diceva "non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati; non si può. Questo atteggiamento è un po' funerario". Invece la gioia cristiana deriva proprio dalla lode a Dio.
"Ma cosa è questo lodare Dio?" si è chiesto il Papa. "Lodare lui gratuitamente, come è gratuita la grazia che lui ci dà" è stata la sua risposta. Poi, rivolgendosi a uno dei presenti alla celebrazione, ha detto: "Io posso fare la domanda a lei che è qui a messa: lei, loda Dio? O soltanto chiede a Dio e ringrazia Dio? Ma loda Dio?". Questo, ha ripetuto, significa "uscire da noi stessi per lodare Dio, perdere il tempo lodando". A questo punto il Pontefice ha fatto riferimento a una delle critiche che spesso viene rivolta ai sacerdoti: "Questa messa che fate è lunga". Certo, ha spiegato rivolgendosi ancora ai presenti, "se tu non lodi Dio e non conosci la gratuità del perdere il tempo lodando a Dio, certo che è lunga la messa! Ma se tu vai a questo atteggiamento della gioia, della lode a Dio, questo è bello". Del resto, "l'eternità sarà questa: lodare Dio. Ma questo non sarà noioso, sarà bellissimo. Questa gioia ci fa liberi".
"E voglio aggiungere - ha detto in conclusione - un'ultima cosa: è proprio lei, la Madonna che porta le gioie. La Chiesa la chiama causa della nostra gioia, causa nostrae letitiae, Perché? Perché porta la gioia nostra più grande, porta Gesù. E portando Gesù fa sì che "questo bambino sussulti nel grembo della madre". Lei porta Gesù. Lei con la sua preghiera fa sì che lo Spirito Santo irrompa. Irrompe quel giorno di Pentecoste; era là. Dobbiamo pregare la Madonna perché portando Gesù ci dia la grazia della gioia, della libertà; ci dia la grazia di lodare, di fare una preghiera di lode gratuita, perché lui è degno di lode, sempre".
Il trionfalismo che appartiene ai cristiani è quello che passa attraverso il fallimento umano, il fallimento della croce. Lasciarsi tentare da altri trionfalismi, da trionfalismi mondani, significa cedere alla tentazione di concepire un "cristianesimo senza croce", un "cristianesimo a metà". È stata l'umiltà il centro della riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, mercoledì 29 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Nel vangelo di oggi (Marco 10, 32-45) è descritto il cammino verso Gerusalemme di Gesù, seguito dai discepoli. "Erano sulla strada che saliva a Gerusalemme - ha spiegato il Papa - e Gesù camminava davanti. Deciso. Possiamo anche pensare, in fretta". Soffermandosi sui sentimenti che si agitavano in quel momento nel cuore dei discepoli "sgomenti" e "impauriti", il Santo Padre ha voluto mettere in evidenza il comportamento del Signore che svela loro la verità: "Ecco noi saliamo a Gerusalemme, il Figlio dell'Uomo sarà consegnato" ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà. Gesù "dice la verità" e mostra loro il cammino che finisce "al terzo giorno".
Nonostante le parole di Cristo, i discepoli pensano che sia meglio fermarsi. E nello stesso tempo, ha fatto notare il Pontefice, cominciano a discutere tra loro "come sistemare la Chiesa". Anzi Giacomo e Giovanni "sono andati da Gesù a chiedergli l'ufficio di capo del governo". Ma anche gli altri "discutevano e si domandavano chi tra loro fosse il più importante" in quella Chiesa che volevano sistemare. Cristo, ha osservato il Papa, era davanti al compiersi della sua missione, mentre i suoi discepoli si erano fermati a discutere su "un altro progetto, un altro punto di vista della Chiesa".
In questo modo essi subivano la stessa tentazione di Gesù nel deserto, "quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino" e lo aveva sfidato a compiere "un miracolo - ha ricordato ancora il Pontefice - qualcosa che tutti chiedevano". Come gettarsi dal tempio e salvarsi, in modo tale che tutti potessero vedere il miracolo e redimersi.
Gesù, ha aggiunto, subì la stessa tentazione da parte di Pietro. Quando parlò della croce, ha ricordato il vescovo di Roma, l'apostolo lo implorò, dopo avergli ripetuto "tu sei il Figlio di Dio", di rinunciare. "E Gesù gli disse: satana! E rinunciò alla tentazione".
Oggi, ha sottolineato il Pontefice, il pericolo è quello di soccombere alla "tentazione di un cristianesimo senza croce. Un cristianesimo a metà cammino. Questa è una tentazione". Ma ce n'è un'altra, ha aggiunto il Pontefice, "quella di un cristianesimo con la croce senza Gesù" della quale, ha detto, forse parlerà in un'altra occasione. E riprendendo il tema dell'omelia, il Papa ha spiegato che si tratta della "tentazione del trionfalismo". "Noi vogliamo il trionfo adesso - ha detto - senza andare sulla croce. Un trionfo mondano, un trionfo ragionevole". Per fare un esempio ha citato l'episodio evangelico nel quale si racconta che il diavolo, dopo la provocazione del tempio, propone a Gesù un patto: "tu mi adori e io ti do tutto". E "questo - ha fatto notare il Papa - purché non arrivasse a fare quello che il Padre voleva che Gesù facesse".
"Il trionfalismo nella Chiesa ferma la Chiesa - ha proseguito il Papa -. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino". Una Chiesa che si accontentasse di essere "ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente", ma che rinnegasse i martiri sarebbe "una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo".
E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: "Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l'ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant'anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l'ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: "suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro". Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: "Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino". Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino". Questo modo, ha spiegato il Papa, "coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine".
Concludendo l'omelia il Santo Padre ha invitato tutti a chiedere al Signore "la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi". "Se la Chiesa è umile - ha detto - cammina con decisione come Gesù, va avanti, avanti, avanti!".
Con il Santo Padre hanno concelebrato i monsignori Valério Breda, vescovo di Penedo, in Brasile, e José Manuel Garcia Cordero, vescovo di Bragança-Miranda, in Portogallo. Alla messa hanno partecipato, tra gli altri, i dipendenti del servizio laboratori e impianti del Governatorato, don Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, e monsignor Francesco Ceriotti, per decenni impegnato nell'ambito della comunicazione della Conferenza episcopale italiana, che proprio oggi festeggia il settantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale.
La sofferenza fa parte della vita; ma per il cristiano, chiamato a seguire la stessa via di Cristo, essa diventa un valore aggiunto. Tanto più quando si presenta sotto forma di persecuzione, a causa dello spirito del mondo che non tollera la testimonianza cristiana. È questa in sintesi la riflessione del Papa durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae martedì mattina, 28 maggio. Commentando il vangelo del giorno (Marco 10, 28-31), il Pontefice ha ripreso la riflessione sul dialogo di Gesù con il giovane ricco che gli chiedeva come ottenere la vita eterna. Ha ricordato infatti che Pietro aveva ascoltato gli ammonimenti di Gesù a proposito delle ricchezze, che rendono "tanto difficile entrare nel regno di Dio".
Dopo le parole del Signore, Pietro gli domanda: "Va bene, ma noi? Noi abbiamo lasciato tutto per te. Quale sarà il salario? Come sarà il premio?". La risposta di Gesù forse "è un po' ironica: ma sì, anche te e tutti voi che avete lasciato casa, fratelli, sorelle, madre, figlio, campi, avrete cento più di questo"; ma li avverte che dovranno affrontare " la persecuzione", descritta come il salario, o meglio "il pagamento del discepolo".
A chi lo segue Gesù assicura l'appartenenza alla "famiglia dei cristiani" e ricorda che "siamo tutti fratelli". Ma avverte pure che ci "saranno le persecuzioni, le difficoltà", tornando sullo stesso tema: "Chi segue me, deve fare la stessa strada che ho fatto io". Una via, ha spiegato il Papa, che porta ad abbassarsi e che "finisce sulla croce. Ci saranno sempre le difficoltà che vengono dal mondo e le persecuzioni, perché lui ha fatto questa strada per primo. Quando un cristiano non ha difficoltà nella vita e tutto va bene, tutto è bello, qualcosa non va". C'è da pensare che abbia ceduto alla tentazione di seguire lo spirito del mondo piuttosto che Gesù.
Seguire il Signore, ha ripetuto il vescovo di Roma, significa farlo sino in fondo. La sequela di Cristo non può rimanere solo un'espressione culturale. Tanto meno può essere un modo per acquistare più potere. In proposito il Pontefice ha osservato che "la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori; poi tanti governanti, tante persone. E anche alcuni - non voglio dire tanti, ma alcuni - preti, alcuni vescovi. Non sono tanti, ma alcuni pensano che seguire Gesù è fare carriera". Un concetto questo, ha detto Papa Francesco, che nella letteratura di qualche decennio fa si poteva ritrovare nelle biografie dei santi, dove era usuale leggere che "da bambino aveva voglia di fare la carriera ecclesiastica. Si diceva così, era un modo di dire. Ma tanti cristiani, tentati dallo spirito del mondo - ha aggiunto il Pontefice - pensano che seguire Gesù" sia una cosa buona perché "così si può fare carriera, si può andare avanti". Tuttavia, "quello non è lo spirito"; è piuttosto l'atteggiamento di Pietro, che domanda: "E noi, che carriera facciamo?". La risposta di Gesù è invece: "Sì, ti darò tutto, con la persecuzione".
Non è possibile - ha commentato il vescovo di Roma - "togliere la croce dalla strada di Gesù, c'è sempre". Certamente il cristiano non deve farsi del male. "Non è quello" ha specificato in proposito, aggiungendo: "Il cristiano segue Gesù per amore e quando si segue Gesù con amore, l'invidia del diavolo fa tante cose. Lo spirito del mondo non tollera questo, non tollera la testimonianza. Pensate a madre Teresa", considerata come una figura positiva che "ha fatto tante belle cose per gli altri. Lo spirito del mondo mai dice che la beata Teresa tutti i giorni, tante ore, era in adorazione; mai. Riduce l'attività cristiana al fare bene sociale. Come se l'esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. Ma l'annuncio di Gesù non è una patina", penetra nelle ossa, va dritto "al cuore; va dentro e ci cambia. E questo lo spirito del mondo non lo tollera; non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni".
Da qui l'invito a pensare alla risposta di Gesù: Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli, sorelle o madri o padri o figli o campi "per causa mia o per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto, in case, fratelli, ma insieme a persecuzioni. Non dimentichiamolo". Seguire Gesù con amore passo dopo passo: questa è la sequela di Cristo, ha concluso il Santo Padre. Ma lo spirito del mondo continuerà a non tollerarlo e farà soffrire i cristiani. Si tratta, però, di una sofferenza come quella sopportata da Gesù: "Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che lui ci ha fatto vedere, che lui ci ha insegnato. Questo è bello: lui mai ci lascia soli, mai. Sempre è con noi".
Con il Papa hanno concelebrato, tra gli altri, gli arcivescovi Rino Fisichella e José Octavio Ruiz Arenas, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Con loro, tra i presenti, erano i collaboratori nel dicastero, maestranze della centrale termoelettrica e del laboratorio di falegnameria del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
Il fascino del provvisorio, la sensazione di essere padroni del tempo, e la cultura del benessere a tutti i costi spesso impediscono all'uomo di oggi di seguire da vicino Gesù. "Ci sembrano due ricchezze" ma in realtà non ci fanno "andare avanti", ha detto Papa Francesco commentando, lunedì mattina 27 maggio, il racconto del vangelo di Marco (10, 17-27) proclamato durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. L'evangelista narra dell'uomo ricco che si avvicina a Gesù per chiedergli come raggiungere la vita eterna. "Questo - ha spiegato il Pontefice - era un uomo buono: va a trovare Gesù e si getta in ginocchio davanti a lui; un uomo che aveva pietà nel suo cuore; un uomo religioso; un giusto. Ma va da Gesù perché sente qualcosa dentro; sente la voglia di andare più avanti, di seguire Gesù più da vicino: era proprio lo Spirito Santo che lo spingeva".
L'uomo assicura Gesù di seguire i comandamenti. E gli domanda come andare avanti. Ma alla richiesta di Gesù, "che lo ama", di vendere tutti i suoi beni prima di seguirlo, "quest'uomo buono, uomo giusto - un uomo spinto dallo Spirito Santo per andare più avanti, più vicino a Gesù - si scoraggia: a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato. E Gesù volgendo lo sguardo attorno disse a suoi discepoli: quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio" ha ricordato il Santo Padre. Dunque "le ricchezze - ha spiegato - sono un impedimento, qualcosa che non rende facile il cammino verso il regno di Dio. Ognuno di noi ha le sue ricchezze, ma si tratta spesso di ricchezze che impediscono di andare vicino a Gesù" e che a volte portano persino "tristezza".
"Tutti - ha esortato il Santo Padre - dobbiamo fare un esame di coscienza su quali sono le nostre ricchezze che ci impediscono di avvicinare Gesù nella strada della vita". Si tratta di ricchezze che derivano dalla nostra cultura. La prima ricchezza "è il benessere. La cultura del benessere che ci fa poco coraggiosi, ci fa pigri, ci fa anche egoisti". A volte "il benessere ci anestetizza", perché in fin dei conti "stiamo bene nel benessere". Anche di fronte alla scelta di avere un figlio, ci si lascia spesso condizionare dal benessere. Il Papa ha immaginato un dialogo tra una coppia di sposi: "No, no, più di un figlio, no! Perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa; no! Va bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto...". E ha commentato: "È questo che fa il benessere. Tutti sappiamo bene come fa il benessere. Ma questo ci getta giù, ci spoglia di quel coraggio, di quel coraggio forte per andare vicino a Gesù". Eppure "questa è la prima ricchezza della nostra cultura d'oggi. La cultura del benessere".
Oltre a questa, il Pontefice ne ha indicata un'altra, che "ci impedisce di andare vicino a Gesù: è il fascino del provvisorio. Noi siamo innamorati del provvisorio", mentre le proposte di Gesù sono definitive. Il provvisorio ci piace "perché abbiamo paura del tempo di Dio", che è un tempo definitivo.
E come spesso accade, il Papa ha proposto un ricordo della sua esperienza personale: "Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più". E lo stesso accade per tante coppie che si sposano pensando: "finché dura l'amore e poi vediamo". È questo "il fascino del provvisorio" la seconda "ricchezza" che affascina gli uomini di oggi; e li spinge, in particolare, a "diventare padroni del tempo: facciamo piccolo il tempo al momento".
Benessere e provvisorietà sono appunto le due ricchezze che nella società contemporanea "ci impediscono di andare avanti". Di contro, il pensiero del Pontefice è andato ai "tanti uomini e donne che hanno lasciato la loro terra per andare come missionari, per tutta la vita"; e ai "tanti uomini e donne che hanno lasciato la loro casa per fare un matrimonio e per tutta la vita sono arrivati fino alla fine". Questo - ha affermato - "è seguire Gesù da vicino, è il definitivo". Mentre "il provvisorio non è seguire Gesù; il provvisorio è territorio nostro", nel quale noi "siamo padroni".
Da qui l'esortazione del Pontefice: "Davanti all'invito di Gesù, davanti a queste due ricchezze culturali, pensiamo ai discepoli", che "erano sconcertati. Anche noi possiamo essere sconcertati per questo discorso di Gesù; e quando Gesù ha spiegato qualcosa, erano ancora più stupiti". Allora - è stato l'invito conclusivo - "chiediamo al Signore che ci dia il coraggio di andare avanti, spogliandoci di questa cultura del benessere con la speranza", la quale è "la fine del cammino dove lui ci aspetta, nel tempo; non con la piccola speranza del momento, che non funziona più".
Con Papa Francesco hanno concelebrato, tra gli altri, il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, e l'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Tra i presenti, collaboratori del dicastero della pastorale della salute, dipendenti della direzione Servizi economici del Governatorato e un gruppo di volontari del dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano.
I cristiani che chiedono non devono mai trovare porte chiuse. Le chiese non sono uffici dove presentare documenti e carte quando si chiede di entrare nella grazia di Dio. "Non dobbiamo istituire l'ottavo sacramento, quello della dogana pastorale!". È l'accoglienza cristiana il tema della riflessione di Papa Francesco nell'omelia della messa concelebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae questa mattina, sabato 25 maggio, tra gli altri con il cardinale Agostino Cacciavillan. Commentando il vangelo di Marco (10, 13-16) il Pontefice ha ricordato il rimprovero rivolto da Gesù ai discepoli che volevano allontanare da lui i bambini che la gente portava per chiedere una carezza. I discepoli proponevano "una benedizione generale e poi tutti fuori", ma che dice il Vangelo? Che Gesù si indignò - ha risposto il Papa - dicendo "lasciate che vengano a me, non glielo impedite. A chi è come loro infatti appartiene il Regno di Dio".
La fede del popolo di Dio è una fede semplice. Ad esempio, forse non sa spiegare bene chi sia la Vergine, ma "per questo - ha detto il Santo Padre - bisogna andare dal teologo: ti spiegherà bene chi è Maria". Ma, ha subito aggiunto, "se tu vuoi sapere come si ama Maria, vai dal popolo di Dio che te lo insegnerà meglio e bene". È un popolo "che sempre si avvicina per chiedere qualcosa di Gesù" e alcune volte anche con un po' di insistenza. Come ha subito dopo raccontato: "Ricordo una volta durante la festa patronale nella città di Salta; una signora umile chiedeva a un prete una benedizione. Il sacerdote le ha detto: Ma signora lei è stata alla messa! E poi le ha spiegato tutta la teologia della benedizione nella messa. Ah, grazie padre, sì padre, ha risposto la signora. Ma quando il prete se n'è andato la signora si è rivolta a un altro prete: Mi dia la benedizione. Tutte quelle parole non erano entrate in lei perché aveva un'altra necessità, la necessità di essere toccata dal Signore. Questa è la fede che cerchiamo e che dobbiamo trovare sempre perché la suscita lo Spirito Santo. Noi dobbiamo facilitarla, farla crescere, aiutarla a crescere".
Il Papa è quindi tornato a spiegare l'atteggiamento di Gesù che rimprovera gli apostoli i quali impediscono alla gente di avvicinarsi a lui. Non lo facevano per cattiveria: volevano solo aiutarlo. La stessa cosa avevano fatto anche quelli che a Gerico tentarono di far tacere il cieco che, avvertito della presenza di Gesù, gridava per attirare la sua attenzione e farsi salvare. Era come se avessero detto, ha spiegato il Papa: "Il protocollo non lo permette: costui è la seconda persona della Trinità, cosa fai? Questo mi fa pensare a tanti cristiani…".
Per spiegare meglio il concetto il Pontefice ha fatto alcuni esempi. In particolare quello che capita quando due fidanzati che vogliono sposarsi si presentano nella segreteria di una parrocchia e, invece di sostegno o di felicitazioni, sentono elencare i costi della cerimonia o si sentono chiedere se i loro documenti sono tutti a posto. Così a volte, ha ricordato il Papa, essi "trovano la porta chiusa". In questo modo chi avrebbe la possibilità "di aprire la porta ringraziando Dio per questo nuovo matrimonio" non lo fa, anzi, la chiude. Tante volte "siamo controllori della fede invece di diventare facilitatori della fede della gente". Ed è qualcosa, ha aggiunto il Santo Padre, che "è cominciato al tempo di Gesù, con gli apostoli".
Si tratta di " una tentazione che noi abbiamo; quella di impadronirci, di appropriarci del Signore". E ancora una volta il Papa è ricorso a un esempio: il caso di una ragazza madre che va in chiesa, in parrocchia, chiede di battezzare il bambino e si sente rispondere "da un cristiano o da una cristiana": no, "non puoi, tu non sei sposata". E ha continuato: "Guardate questa ragazza che ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza" e di non abortire: "Cosa trova? Una porta chiusa. E così capita a tante. Questo non è un buon zelo pastorale. Questo allontana dal Signore, non apre le porte. E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alla gente, al popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette sacramenti e noi con questo atteggiamento ne istituiamo l'ottavo, il sacramento della dogana pastorale".
"Gesù si indigna quando vede queste cose, perché chi soffre per questo? Il suo popolo fedele, la gente che lui ama tanto". Gesù, ha spiegato Papa Francesco concludendo l'omelia, vuole che tutti si avvicinino a lui.
"Pensiamo al santo popolo di Dio, popolo semplice, che vuole avvicinarsi a Gesù. E pensiamo a tutti i cristiani di buona volontà che sbagliano e invece di aprire una porta la chiudono. E chiediamo al Signore che tutti quelli che si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte per incontrare questo amore di Gesù".